Obama e Berlusconi uniti dalla fiaba russa

proppda Il Riformista, 4 marzo 2009

Cos’hanno in comune Obama e Berlusconi? A questa domanda risponde “C’era una volta Silvio”. Non è l’inizio di una fiaba che rivisita in chiave edulcorata e fantastica le vicende dell’attuale presidente del consiglio, ma il titolo di una ricerca che analizza il discorso politico del candidato Berlusconi durante la campagna per le scorse elezioni politiche.

Presentata per la prima volta a Valencia nel corso di un convegno internazionale sul marketing non tradizionale, la ricerca che ho condotto analizza il linguaggio di Berlusconi nei talk show televisivi e mette in luce l’utilizzo di tecniche di comunicazione innovative e una singolare e quanto mai inedita somiglianza con il discorso di Obama.

I puristi della politologia potrebbero storcere il naso, ma dimentichiamo per un attimo la politica e concentriamoci sulla comunicazione politica. Dimentichiamo il dibattito quotidiano e facciamo un salto indietro nel tempo.

Leningrado, 1928: il linguista Vladimir Propp scopre che dietro la grande variabilità nelle forme della fiaba tradizionale russa si nasconde una struttura che si ripete. C’è sempre una serie di personaggi caratteristici: un eroe, un antagonista, un antieroe, una principessa da salvare, che rappresenta l’oggetto del desiderio e l’obiettivo da raggiungere. Anche la struttura si ripete, c’è la rottura di un equilibrio iniziale – un problema da risolvere – e il tentativo dell’eroe di ristabilirlo attraverso il superamento di varie prove. È la struttura di ogni romanzo o film, è la struttura di ogni storia che consumiamo nel tempo libero.

La ricerca sul linguaggio di Berlusconi mostra come anche dietro la variabilità dei discorsi del candidato premier si nasconda una struttura ripetitiva che ripercorre gli elementi principali della narrazione descritti da Propp. Innanzitutto c’è la descrizione del problema, uno scenario di crisi, rappresentato dall’operato della sinistra, che Berlusconi svolge utilizzando un lessico della tragedia, di cui la “tragedia di Napoli” è un exemplum. La descrizione del problema dà il via alla narrazione, richiama l’attenzione del pubblico e serve a giustificare l’entrata in scena dell’eroe.

Per rendere più chiara la gravità della narrazione, Berlusconi ricorre a quelle che ho chiamato “metastorie”, delle storie nella storia, come l’aneddoto riguardante il noto ristorante di Napoli che chiude per mancanza di avventori. In questa maniera mostra in maniera tangibile come la “tragedia dei rifiuti” si ripercuota sull’economia della città.

Perché Berlusconi ricorre così spesso alle storie? Non è una specificità di Berlusconi, la ricerca di un filo narrativo nella comunicazione politica e aziendale è una tendenza in forte crescita. Anche Obama, nell’Infomercial, lo spot di 30 minuti mandato in onda a pochi giorni dal voto, fa ricorso alle storie per illustrare i problemi cruciali della nazione e mostrare le sue soluzioni. Per parlare della crisi economica racconta la quotidianità di Rebecca Johnston, una donna della classe media con cinque figli che deve centellinare anche il cibo. Impensabile per la classe media americana: è un’immagine che dice molto di più sulla crisi di qualsiasi discorso, statistica, sondaggio.

Le storie, infatti, hanno successo perché portano temi astratti a un livello concreto, permettendo di superare le soglie di percezione e attenzione selettiva del pubblico televisivo. In sintesi, vengono ascoltate più volentieri e ricordate meglio. Inoltre permettono un coinvolgimento emozionale dello spettatore che difficilmente una tabella sull’andamento del mercato dell’auto potrebbe provocare.


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