da Il Riformista, 7 marzo 2009
Si attendeva ed è arrivata, la risposta di Berlusconi alla proposta di Franceschini di “un assegno mensile per chi perde il lavoro”. Nel corso della conferenza stampa dopo il consiglio dei ministri Berlusconi si è espresso chiaramente contro la misura. Se qualcuno si attendeva una risposta nel merito della questione ha sottovalutato la capacità comunicativa del premier.
Una risposta del tipo, «non ci sono fondi per un provvedimento del genere» sarebbe stata un’implicita ammissione di fallimento, il che per il nostro presidente del consiglio è inconcepibile.
Berlusconi decide invece di rispondere che è contrario per due motivi: innanzitutto perché alcune misure ci sono già e sono migliori di quelle proposte dal Pd. Ma soprattutto perché «la misura che è stata preconizzata» sarebbe una «licenza di licenziare, soprattutto per i piccoli imprenditori e gli artigiani», che lascerebbero i lavoratori a casa, magari «con accordi successivi con i lavoratori stessi che godrebbero dell’indennità e continuerebbero a lavorare in nero». Insomma secondo Berlusconi la proposta sarebbe «un incentivo a licenziare e a lavorare in nero».
Si tratta di una risposta che fa leva sulla tecnica dello spostamento del punto di attenzione. Berlusconi sceglie di puntare il dito su un possibile effetto negativo dell’assegno e in tal modo riesce a evitare di entrare nel merito della questione. Riesce a evitare di parlare delle decine di migliaia di giovani e di padri di famiglia con contratti a tempo determinato che con la crisi potrebbero rimanere a casa senza un euro e senza nessuna forma di protezione da parte dello Stato. Evita di parlare dei giovani con un mutuo che, perso il lavoro, perderebbero, con ogni probabilità anche la casa, a meno di avere alle spalle una famiglia abbiente capace di fornire il sostegno che lo Stato nega loro. Evita di entrare nel merito dei problemi dei padri di famiglia con un contratto a sei mesi che, persa l’unica fonte di guadagno, non avrebbero altra possibilità di sopravvivenza che le mense per i poveri.
Per spostare l’attenzione Berlusconi utilizza un’espressione semplice e chiara: l’assegno, lungi dall’essere un aiuto ai lavoratori sarebbe invece una “licenza di licenziare”; sintetizza così in poche parole la sua idea, con una formula appetibile per i titoli dei telegiornali e dei quotidiani. Stabilisce inoltre un’equazione fra una proposta mirata a proteggere i lavoratori e il suo esatto contrario, la possibilità per gli imprenditori di licenziare liberamente, salvo poi continuare a far lavorare le persone, prive di ogni genere di copertura assicurativa e previdenziale.
Non sfugga al lettore un dettaglio, l’espressione “licenza di licenziare” è una metafora. Qualcuno potrebbe pensare che si tratta di una divagazione letteraria, ma non è così. Gli studi di George Lakoff, noto ai più per il bestseller “Non pensare all’elefante”, hanno per primi messo in luce il fatto che la metafora non è solo uno strumento per abbellire il discorso, ma un modo per rendere più immediata la comprensione di temi complessi. In questo caso l’espressione associa un oggetto astratto, una misura di politica economica, a un oggetto concreto, conosciuto da tutti, una licenza, come quella necessaria per andare a pesca o aprire un chiosco di caldarroste. Per questi motivi la replica di Berlusconi colpisce l’ascoltatore e sposta con forza l’attenzione verso un altro punto.
Ora si attende la risposta di Franceschini e del Pd – che riporti il focus sulle difficoltà dei lavoratori senza diritti – possibilmente racchiusa in uno slogan capace di colpire l’immaginario e venire ricordata e compresa facilmente.