da Il Riformista 26 marzo 2009
Ne hanno parlato i blog in maniera pressoché entusiastica, ne hanno parlato poco (o affatto) i media tradizionali. Ci riferiamo a Debora Serracchiani, 38 anni (ma ne dimostra molti meno) da Udine, consigliere provinciale e dirigente locale del Pd. È la protagonista del video più visto di YouDem, che mostra il suo intervento all’assemblea nazionale dei circoli del Pd.
Arriva sul palco in punta di piedi e fatica un po’ a richiamare l’attenzione della folla vociante. Look casual, si muove con qualche impaccio sotto i riflettori, si emoziona e si tocca nervosamente i capelli quando la applaudono “a scena aperta”, ma riesce a comunicare con uno stile spontaneo, lontano dalla compassata distanza di alcuni politici tradizionali. E soprattutto, piace: ai militanti, che la applaudono con entusiasmo, al web – l’abbiamo detto – e anche alla leadership, con Franceschini che annuisce e la incoraggia nonostante la natura critica dell’intervento.
È un primo, timido segnale della generazione Y che avanza, della generazione che è a suo agio su Facebook e Twitter e preferisce YouTube alla televisione. Una generazione tendenzialmente distante dalla politica dei partiti che tuttavia si impegna nel volontariato e nella società civile. È la generazione che negli Stati Uniti ha contribuito alla vittoria di Obama e a un grande rinnovamento della politica.
Una generazione difficile da incasellare e da coinvolgere, tanto quanto la precedente, quella generazione che per la sua indicibilità era stata definita X. Se quest’ultima era cresciuta negli anni Ottanta, con l’edonismo senza vergogna degli anni reaganiani (e craxiani in Italia), con le televisioni private e il fast food, la generazione Y è cresciuta nei Novanta, al tempo del boom del puntocom e condivide con la precedente una tendenziale distanza di sicurezza dalla politica. Tuttavia pensare di poterla ignorare può costare caro, lo dimostra la campagna della Clinton, tutta impostata per raccogliere il consenso dei Babyboomers.
Coinvolgere ed emozionare questa generazione non sarà semplice ma è necessario. Nel momento in cui negli Stati Uniti il suo peso numerico è cresciuto, l’uomo che è stato capace di catturarne l’attenzione, inviando messaggi interessanti, comunicando con autenticità con i canali e il linguaggio adatti, ha vinto le elezioni. In quel caso la chiave di volta è passata anche per un rinnovamento generale dell’agenda politica, che nel 2004 era stata tutta impostata su temi dedicati a un pubblico maturo, contando sulla scarsa partecipazione elettorale dei più giovani. Ma il successo di Obama dimostra che chi riesce a far votare la generazione Y può avere nelle elezioni un grande vantaggio competitivo.
Secondo una ricerca della società di comunicazione politica Greenberg, Quinlan e Rosner, tre sono i temi che la preoccupano di più. Innanzitutto la crisi – ma non in senso generico, tutti sono turbati dalla crisi. A interessarli è la ripercussione che ha sulla capacità di trovare lavoro, in una struttura lavorativa che vede i giovani soffrire di più nella quantità e nella qualità dell’offerta professionale.
In secondo luogo c’è l’educazione, intesa come capacità di acquisire competenze necessarie a vivere in un mondo in continuo cambiamento e a trovare lavoro: vedasi punto precedente. Entrambi questi temi hanno una ripercussione anche sulle precedenti generazioni che ne condividono le preoccupazioni come madri, padri, nonni.
Infine c’è il tema ambientale, maneggiato con cura da Obama, al quale la generazione Y attribuisce una priorità più alta rispetto agli elettori più maturi.
In Italia con le nuove tecnologie siamo più indietro e i tassi di natalità sono bassi da tempo. Tuttavia il nostro cambiamento tarderà ad arrivare, ma arriverà, quando la generazione Y avrà un peso significativo sul totale degli aventi diritto al voto. E sarà chi saprà emozionarla a raccoglierne i consensi.