“La Gelmini è una rompicoglioni”. Fa discutere l’affermazione del segretario Bersani nel corso della recente assemblea del Pd. Un’uscita sopra le righe o il tentativo di cambiare rotta nella comunicazione del partito? Se nel primo caso possiamo chiudere un occhio, nel secondo c’è da stare attenti (e preoccuparsi)
Pubblicato su Lo Spazio della Politica
“La Gelmini è una rompicoglioni”. Così i giornali di ieri sintetizzano la critica rivolta dal segretario del Pd Bersani al ministro dell’istruzione, nel corso della recente assemblea del partito.
Per dovere di cronaca e per correttezza, ci sembra corretto riportare la frase per intero:
Io sono per fare uscire da questa assemblea una figura eroica, i veri eroi moderni, gli insegnanti che inseguono il disagio sociale in periferia, lottano contro la dispersione mentre la Gelmini gli rompe i coglioni.
Se si tratta di un’espressione sfuggita al segretario nell’impeto retorico, si può ampiamente soprassedere, vista la portata del linguaggio politico contemporaneo, dove gli attributi maschili e femminili sembrano avere più diritto di cittadinanza dei discorsi sui diritti e sullo sviluppo economico.
Ma se, come ipotizza Maria Teresa Meli in un articolo sul Corriere, si trattasse di una scelta consapevole, c’è da rabbrividire. Si tratterebbe, secondo la Meli, del tentativo di mettere in atto una nuova strategia comunicativa:
ll perché è presto detto. (…) sono passati sui tavoli dei massimi dirigenti del Pd sondaggi su sondaggi, uno più allarmante dell’altro. Dati che hanno rivelato che il partito è percepito come conservatore, vecchio, e lontano dalla gente, o, per meglio dire, dalla «ggente». Pensa che ti ripensa, i leader di Largo del Nazareno hanno deciso che una delle cose da cambiare era proprio il linguaggio.
La giornalista paragona l’uscita di Bersani al recente sfogo di D’Alema nel corso di una puntata di Ballarò, durante la quale aveva invitato il vicedirettore del Giornale, Sallusti, ad andare “a farsi fottere”.
Spiegava D’Alema, per giustificare il suo attacco a Sallusti: «Ormai uso un linguaggio popolare, quello che usa la gente normale». Potrebbe sembrare una battuta. E in parte lo è. Ma dietro tutto questo florilegio di parolacce e pesanti invettive c’è una regia (non si sa quanto sapiente). Bisogna parlare come si fa al bar, «sennò la gente non ci capisce»: è questa la nuova parola d’ordine del Partito democratico. Perciò sarebbe sbagliato dire che quella battutaccia nei confronti di Gelmini a Bersani è scappata nella foga del discorso, come accreditano dal suo staff, dopo che hanno capito che i media si occuperanno abbondantemente più della parolaccia detta dal segretario del Partito.
Se le cose stessero davvero così il quadro è preoccupante. Di certo il tono forte può contribuire a riportare l’attenzione sulla situazione dimenticata della scuola ma, da un punto di vista strategico, mostra più di una carenza.
Da un eccesso all’altro. La scelta del turpiloquio mi fa pensare a quel signore sovrappeso che – resosi conto della propria pinguedine – decide di intraprendere una dieta massacrante. In altre parole si passa da un estremo all’altro, dal “democratichese” più incomprensibile al lessico da osteria. Se nel breve periodo questa scelta può dare qualche soddisfazione, nel lungo termine è deleteria.
Tornando al linguaggio non ci sembra del tutto inutile ricordare che Obama, Clinton, Blair non hanno vinto le elezioni a colpi di parolacce ma di una strategia del discorso seria e meditata.
Lo stesso Berlusconi, che pure non si è risparmiato i termini coloriti, propone un discorso politico tutt’altro che banale. Il rischio è, ancora una volta, che il Pd copi gli aspetti peggiori del “berlusconismo” (il leaderismo assoluto, il partito leggero…) anziché le novità importanti che ha introdotto nella pratica della costruzione del consenso.
Tuttavia c’è un dato è confortante: sembra essersi diffusa nel partito democratico la consapevolezza che ci sia bisogno di intervenire sul linguaggio del Pd.
Sarà un segnale positivo se questa rottura di Bersani costituisse la base per una nuova azione politica nella quale si investano tempo, energie e risorse per delineare una nuova strategia comunicativa per il Pd.
Sarebbe un’ottima notizia non soltanto per il Pd ma anche per un paese che vede il più grande partito di opposizione in difficoltà nello svolgere con efficacia il proprio ruolo democratico di critica costruttiva dell’attività del governo.
Caro Gianluca,
vorrei sottoporre alla tua valutazione una mia riflessione: non ti sembra che il Pd e più in generale una discreta parte del centro sinistra, negli ultimi anni abbia commesso anche l’errore di inseguire l’avversario, anzi più che altro di “stare al guinzaglio”? Secondo me sì. Alcuni personaggi, penso a Veltroni e D’Alema, a mio avviso hanno commesso l’errore di cedere a compromessi al ribasso con il leader maximo. Penso ai confronti pre elettorali del 2008, chiaramente asimmetrici, tra Berlusconi e Veltroni. Venne pubblicata anche una foto di una simbolica stretta di mano tra i due, il primo all’opposizione e il secondo sindaco di Roma uscente, candidato alla premiership. Quindi, poco prima di perdere tutto.
Penso poi alla nomina a ministro degli Esteri Ue: D’Alema, sostenuto dal presidente del Consiglio, avrebbe anche potuto dire che il suo benestare non era così rilevante. Si trattava infatti di un ruolo di rilievo internazionale, per il quale più che altro erano necessarie radicate doti diplomatiche, indipendenti dagli equilibri della politica interna di uno stato. Perché dare sempre il destro a chi oggi governa? Perché offrirgli molto in cambio di poco? Un centro sinistra maturo dovrebbe, a mio avviso, essere in condizione di reggersi sulle sue gambe e vincere con una idea di futuro più forte di quella conservatrice e chiusa che caratterizza il centro destra.
Ti ringrazio per l’attenzione che potrai dare a questo breve spunto.
Massimiliano