Pubblicato sul Sole 24 Ore del 4 febbraio 2015
Un’analisi linguistica del discorso pronunciato in Parlamento dal presidente Sergio Mattarella nel giorno del giuramento
L’analisi del discorso pronunciato ieri in Parlamento dal presidente Mattarella rivela come l’intera costruzione linguistica ruoti intorno a due concetti fondamentali, sottolineati dall’utilizzo dell’anafora, una figura retorica che consiste nel riprendere, ripetendola, una parola o un’espressione all’inizio della frase.
Si tratta di una figura retorica che produce due effetti. Innanzitutto quello di conferire gravità al discorso: già i retori antichi lo consideravano uno strumento che produce venustas, gravitas e acrimonia, ovvero bellezza estetica ma anche serietà e forza. Mattarella pronuncia dunque un discorso che è in linea con il momento difficile che attraversa il Paese. Ma l’anafora ha anche un altro effetto, è una figura della presenza, che serve a rendere presente l’oggetto di discussione nella coscienza dei partecipanti. In altre parole ne rafforza la rilevanza.
Quali sono, dunque, i concetti che il Presidente Mattarella intende sottolineare? Il primo è il significato della Costituzione. Non a caso la parola più ripetuta è “significa” (16 volte) e la seconda è Costituzione (9), che vengono usate insieme in una ripetizione anaforica:
«Garantire la Costituzione significa garantire il diritto allo studio/ riconoscere e rendere effettivo il diritto al lavoro/ garantire i diritti dei malati».
Mattarella intende dunque tradurre il senso profondo del dettato costituzionale, al di là della norma giuridica. Intende inoltre chiarire il modo con cui intende interpretare il proprio ruolo di garante della Costituzione.
Questo intento appare ancora più chiaro se osserviamo la seconda ripetizione, dove l’anafora viene associata a un altro elemento cruciale che determina l’efficacia del linguaggio: la capacità di portare il discorso dal livello astratto a quello concreto.
Non a caso queste due figure retoriche si ritrovano in quello che viene considerato uno dei discorsi più efficaci della storia contemporanea, quello pronunciato da Martin Luther King che viene solitamente ricordato con la frase «I have a dream», io ho un sogno. In quel caso King descrive visivamente la scena di un futuro di libertà dove tutti i bambini possono giocare insieme, «i figli di coloro che un tempo furono schiavi e i figli di coloro che un tempo possedettero schiavi». Non è un generico appello all’uguaglianza ma un modo di tradurne in senso concreto il significato e l’importanza.
In maniera analoga il presidente Mattarella mette insieme questi due strumenti linguistici nella parte conclusiva del discorso, quando esprime l’auspicio che:
«negli uffici pubblici e nelle istituzioni possano riflettersi, con fiducia, i volti degli italiani: il volto spensierato dei bambini, quello curioso dei ragazzi/ i volti preoccupati degli anziani soli e in difficoltà/ il volto di chi soffre, dei malati, e delle loro famiglie/ il volto dei giovani che cercano lavoro e quello di chi il lavoro lo ha perduto».
Il presidente Mattarella usa la ripetizione e il livello concreto del discorso come monito per chi si occupa della cosa pubblica, dagli eletti ai funzionari pubblici: non un semplice invito ai doveri o al rigore ma un modo chiaro ed efficace per ricordare a tutti che dietro i documenti, le pratiche, gli emendamenti ci sono le vite e le sofferenze delle persone; un appello che vuole riportare le donne e gli uomini dello Stato all’orgoglio di un compito importante e grave: essere all’altezza delle difficoltà e delle speranze dei cittadini.
[…] che si riserva ad ogni elemento informativo, magari corredandolo con una corretta analisi del […]
Grazie per aver apprezzato l’analisi
Mi colpisce, nei discorsi di Mattarella, lo scarso numero degli aggettivi. Ma se ne usa uno solo, questo tende a diventare l’elemento più significativo della frase e Mattarella vi appoggia la voce.