Perché Di Pietro sale e il Pd scende?

L’Italia dei valori di Antonio Di Pietro ha triplicato in un pochi anni i propri consensi. Dal 2 per cento delle regionali del 2004 al 4 delle politiche 2008 all’8 delle ultime europee.

Il Partito Democratico, invece, lo sappiamo, arranca a tutti i livelli, sia a quello nazionale sia a quello locale, che tradizionalmente costituiva il baluardo del centrosinistra.

La ragione di questa diverso risultato elettorale può essere spiegata (anche) con un diverso comportamento comunicativo.

La risposta alla manovra finanziaria è un esempio eloquente.

Il Partito Democratico si affida prima a una conferenza stampa con il vicesegretario Enrico Letta, poi al commento di Bersani.

Il Pd si concentra sulla critica alla manovra di Berlusconi e solo in seconda battuta propone i propri punti.

È evidente l’utilizzo di termini tecnici, poco comprensibili per il cittadino medio: “allentamento del patto di stabilità”, “modulo di riforma fiscale”, “capitali scudati” sono parole e concetti ostici per milioni di cittadini italiani.

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Immagine

Le immagini di Abu Ghraib che hanno fatto il giro del mondo e la celebre foto che ritrae gli scontri del G8 di Genova pochi istanti prima della morte di Carlo Giuliani. Due casi che mettono in luce la capacità definitoria delle immagini nel racconto politico e la loro forza nell’orientare il giudizio dell’opinione pubblica

Un’immagine vale più di mille battute, potremmo dire parafrasando l’antico adagio. Sul ruolo delle fotografie nella definizione degli eventi è superfluo soffermarsi lungamente.

Però ci sembra utile ricordare due esempi recenti, che mettono in luce la capacità e la potenza definitoria delle immagini nel racconto politico.

Il primo relativo è alle pubblicazione delle foto di Abu Ghraib e al loro effetto sulla percezione della presenza statunitense in Iraq. Come fa notare Mestrovic: una serie di “fotografie che ritraggono solo sei militari modificano la percezione di un contingente di 138,089 uomini e donne e dell’intera nazione americana” (Mestrovic 2006).

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Il turpiloquio, la nuova strategia del Pd?

“La Gelmini è una rompicoglioni”. Fa discutere l’affermazione del segretario Bersani nel corso della recente assemblea del Pd. Un’uscita sopra le righe o il tentativo di cambiare rotta nella comunicazione del partito? Se nel primo caso possiamo chiudere un occhio, nel secondo c’è da stare attenti (e preoccuparsi)

Pubblicato su Lo Spazio della Politica

“La Gelmini è una rompicoglioni”. Così i giornali di ieri sintetizzano la critica rivolta dal segretario del Pd Bersani al ministro dell’istruzione, nel corso della recente assemblea del partito.

Per dovere di cronaca e per correttezza, ci sembra corretto riportare la frase per intero:

Io sono per fare uscire da questa assemblea una figura eroica, i veri eroi moderni, gli insegnanti che inseguono il disagio sociale in periferia, lottano contro la dispersione mentre la Gelmini gli rompe i coglioni.

Se si tratta di un’espressione sfuggita al segretario nell’impeto retorico, si può ampiamente soprassedere, vista la portata del linguaggio politico contemporaneo, dove gli attributi maschili e femminili sembrano avere più diritto di cittadinanza dei discorsi sui diritti e sullo sviluppo economico.

Ma se, come ipotizza Maria Teresa Meli in un articolo sul Corriere, si trattasse di una scelta consapevole, c’è da rabbrividire. Si tratterebbe, secondo la Meli, del tentativo di mettere in atto una nuova strategia comunicativa:

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Il discorso strategico nella politica italiana

“Empires of the Mind. Metaphors and strategic discourse in Italian politics” è il titolo della presentazione che terrò ad Amsterdam nell’ambito di RaAM8, l’ottava conferenza internazionale su Researching and Applying Metaphor, in programma dal 30 giugno al 1 luglio.

Il lavoro analizza l’uso strategico della metafora nel discorso politico durante la campagna elettorale del 2008, che ha condotto alla vittoria del centrodestra di Berlusconi.

Il confronto fra gli stili comunicativi dei due principali candidati, Berlusconi e Veltroni, rivela una diversa attitudine nei confronti della comunicazione politica.

I risultati saranno discussi alla luce delle più recenti evoluzioni degli studi sull’efficacia del discorso politico, tenendo in speciale considerazione l’approccio linguistico-cognitivo di George Lakoff e gli studi sugli aspetti emotivi della persuasione di Drew Westen.  Qui puoi leggere l’abstract completo.

La conferenza è particolarmente interessante perché affianca a un approccio accademico una serie di sessioni di carattere pratico, dedicate all’utilizzo della metafora come strumento per la persuasione nei contesti politici, istituzionali e aziendali.


Gli usi simbolici della politica: il caso Calderoli

Quale fra i due cerchi centrali arancioni è più grande?

Se la formulazione della domanda non inducesse a guardare meglio e a credere di trovarsi di fronte a un trabocchetto, la risposta sarebbe sicura, quello di destra.

Invece hanno le stesse dimensioni, sono identici, nonostante quello di destra appaia all’occhio umano decisamente più grande.

Si tratta del più celebre esempio di illusione ottica, l’illusione di Ebbinghaus, dal nome dello psicologo tedesco che ne scoprì l’esistenza.

Per essere più precisi si tratta di un’illusione cognitiva, dovuta all’interpretazione che il cervello dà delle immagini: la distanza e la grandezza dei cerchi circostanti influenzano la nostra percezione di quelli centrali.

È un esempio classico per illustrare il punto di vista della psicologia della Gestalt, il cui contributo principale alla conoscenza sta nell’aver individuato le basi del comportamento umano non nella realtà in sé bensì nella percezione della realtà.

Tale filone di studio ha avuto il merito di individuare alcune regole di organizzazione dei dati che influenzano la percezione, il cui principio generale viene riassunto comunemente con la frase “l’insieme è più della somma delle sue parti”.

Come nel caso dei cerchi di Ebbinghaus non è l’effettiva dimensione dei cerchi a determinare la percezione che ne abbiamo ma la loro interazione con gli elementi circostanti.

Queste considerazioni sono particolarmente utili anche per spiegare il comportamento politico.

Un esempio è la recente proposta del ministro Calderoli di tagliare del cinque per cento gli stipendi di parlamentari e ministri.

Chiaramente si tratta di una misura simbolica, il risparmio, secondo quanto scrivono Rizzo e Stella sul Corriere della Sera di ieri, sarebbe di soli 4milioni e 800mila euro. “Una briciola rispetto ai costi del Palazzo” come sintetizzano i due editorialisti.

Eppure non c’è da stupirsi che la proposta ottenga un enorme consenso da parte dei cittadini. Secondo un sondaggio on line su corriere.it (che di certo non ha valore statistico, ma può fornire qualche indizio), sarebbe “una buona idea” per l’88% dei partecipanti (dato su 1000 casi).

Nel momento in cui milioni di italiani, già segnati dalla crisi, sono chiamati a ulteriori sacrifici, è lecito che si aspettino che i politici, con i loro lauti stipendi, facciano altrettanto. Lo ritengono sebbene siano consapevoli che si tratti di una goccia nel mare.

Il Pd tuttavia sembra non cogliere la portata del provvedimento e persiste nel portare avanti una linea politica “razionale”.

È esemplificativo il commento della capogruppo al Senato Anna Finocchiaro rispetto alla proposta di Calderoli, “se vogliono fare propaganda lascino perdere, non è il momento di buttar fumo negli occhi degli italiani. Tagliare gli stipendi a mille parlamentari non risolve i problemi”.

Da un punto di vista logico si tratta di una dichiarazione ineccepibile, eppure non si può dimenticare che la politica non è il territorio della logica, come notò chiaramente Murray Edelman, il quale con i suoi studi sugli usi simbolici della politica diede un contributo di primo piano al tema della costruzione del consenso.

Il caso della proposta Calderoli è l’ennesimo esempio di un atteggiamento del Partito Democratico che, concentrandosi sull’aspetto razionale della politica, dimentica il suo valore simbolico ed emotivo, altrettanto – e forse ancor più – necessario per ottenere il consenso dei cittadini.

Post scriptum: tornando al nostro esempio iniziale, se i cerchi arancioni rappresentassero le due coalizioni e chiedessimo ai cittadini di scegliere il migliore – cioè il più grande – quale credete che otterrebbe la maggioranza, quello di destra o quello di sinistra?


La retorica astratta di un partito in cerca d’autore

È partita la campagna per il tesseramento per il 2010: sotto lo slogan “Democratici per costituzione” hanno fatto la loro comparsa per le strade delle città italiane i nuovi manifesti del Partito Democratico.

Lavoro, salute, istruzione, ambiente e pari opportunità sono i temi al centro della campagna.

Ciascuno viene sviluppato con un claim che riecheggia i corrispondenti articoli della Costituzione (vedi slide in fondo all’articolo).

“Il Partito Democratico è fondato sul lavoro”, si può leggere su uno dei cartelloni, con una frase che fa chiaramente riferimento all’articolo uno.

La campagna porta felicemente a compimento l’obiettivo dichiarato di fare del Pd, “il partito della Costituzione e della nuova unità nazionale”, come dichiara il segretario Bersani sulla pagina internet dedicata al tesseramento.

Le allusioni agli articoli creano infatti una chiara associazione fra il Pd e il testo costituzionale.

Tuttavia la campagna rispecchia in maniera piuttosto evidente la difficoltà comunicativa che contraddistingue il Pd, sempre legato a temi astratti, a parole-simbolo, e dunque poco efficace.

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Un nuovo paradigma per una società in mutamento

Pubblicato su Italianieuropei. Anno X n. 2 (2010), pp. 67-76

Mentre la sinistra ha pagato lo scotto della sua incapacità a formulare una narrazione e un’identità nuove, Berlusco­ni ha saputo, anche grazie a un imponente controllo della TV, costruire e adeguare il linguaggio alla scena politica e culturale del paese, con un’efficace comunicazione di sim­boli e valori che ne hanno accentuato i tratti edonistici e in­dividualisti.

Oggi, per la sinistra la sfida può giocarsi nell’ambito dell’elaborazione di una cultura politica che risco­pra il valore del cittadino come persona e le sue aspettative, ma anche attraverso la presenza sul territorio e una mag­giore attenzione alle nuove forme di comunicazione.

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Horse race

Il termine horse race, (dall’inglese, “corsa dei cavalli”) indica una modalità di rappresentazione delle campagne elettorali che enfatizza le dimensioni competitive ed agonistiche rispetto a quelle di contenuto e programmatiche.

Piuttosto che focalizzarsi sui temi e sulle proposte politiche i media tendono sempre più spesso a descrivere le campagne elettorali come se si trattasse di un evento sportivo, per esempio dedicando spazi crescenti ai sondaggi elettorali.

I critici sottolineano che questo genere di copertura mediatica diminuisce l’attenzione nei confronti dei programmi e dei contenuti politici propriamente detti.

Si è affermato in correlazione con la crescita dell’uso dei sondaggi nel racconto mediatico delle campagne elettorali, come sostiene Thomas B. Littlewood nel suo “Calling Elections: the History of Horse-race Journalism”.

Con questo post inauguro una serie dedicata ai termini della politica. Mi fa piacere ricevere suggerimenti e “richieste”, che potete inviare in forma di commento o alla mia mail: giansante.wordpress@gmail.com


Leader britannici a confronto

La Gran Bretagna vede nascere una nuova stella politica, un nuovo Obama, ha gridato qualcuno – un novello Winston Churchill – si sono affrettati a ribadire oltremanica, con il consueto amore per i colori nazionali.

Nick Clegg, 43enne leader del partito liberaldemocratico è salito alla ribalta in pochi giorni, a seguito della brillante performance durante il dibattito televisivo, che lo ha fatto balzare in cima ai sondaggi e alle rilevazioni sulla popolarità.

Il successo di Clegg passa anche per la sua capacità di entrare in contatto con il pubblico in modo nuovo, con i gesti prima che con le parole, marcando un distacco netto rispetto agli altri leader.

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